TFR in azienda o fondo pensione?
28/10/2025
Tempo di lettura 3 min
28/10/2025
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Ogni lavoratore dipendente, in Italia, matura ogni anno una quota di TFR (Trattamento di Fine Rapporto), cioè una parte dello stipendio che viene accantonata e che potrà essere riscattata alla fine del rapporto di lavoro o al momento della pensione.
L’importo accantonato ogni anno corrisponde circa al 6,91% della retribuzione lorda annua: non è una cifra enorme, ma nel tempo può diventare un capitale significativo.
Ed è proprio per questo che vale la pena capire dove conviene destinarlo:
lasciarlo in azienda, oppure farlo confluire in un fondo pensione.
Il TFR accantonato in azienda si rivaluta ogni anno secondo una formula fissa:
1,5% + 75% dell’inflazione.
Negli anni di inflazione elevata la rivalutazione può sembrare interessante, ma in generale il rendimento resta piuttosto contenuto e non è legato all’andamento dei mercati.
La tassazione, invece, arriva solo al momento dell’erogazione del TFR (cioè quando si lascia il lavoro o si va in pensione).
Si applica una tassazione separata IRPEF, calcolata su un’aliquota media basata sui redditi degli ultimi cinque anni.
In pratica, l’imposta effettiva si colloca spesso tra il 23% e il 30%, ma può essere più alta per chi ha redditi elevati.
In sintesi:
il TFR in azienda cresce poco,
non gode di agevolazioni fiscali durante la maturazione,
e alla fine viene tassato come un normale reddito da lavoro.
Quando il TFR viene destinato a un fondo pensione, entra in un meccanismo completamente diverso.
Ogni mese, la quota maturata viene investita sui mercati, in base alla linea scelta (obbligazionaria, bilanciata, azionaria, ecc.), con la possibilità di ottenere rendimenti più alti nel lungo periodo.
I rendimenti maturati annualmente sono soggetti a una tassazione agevolata:
20% sui proventi finanziari,
12,5% sulla parte derivante da titoli di Stato ed equiparati.
Questa imposta si applica ogni anno, non solo al riscatto finale.
Non è quindi sempre un vantaggio rispetto ad altri strumenti (che pagano il 26% solo al momento della vendita), ma fa parte del regime fiscale dedicato alla previdenza complementare.
Il vero vantaggio, come vedremo tra poco, arriva al momento dell’uscita dal fondo.
Quando si va in pensione, il capitale accumulato nel fondo può essere riscattato in due modi:
come rendita vitalizia, cioè una pensione mensile aggiuntiva,
oppure come capitale, fino al 50% del totale (in alcuni casi anche il 100%).
La tassazione applicata in questa fase è molto più favorevole di quella IRPEF:
parte dal 15% e si riduce di 0,3 punti percentuali per ogni anno di partecipazione oltre il quindicesimo, fino a un minimo del 9%.
Significa che chi versa nel fondo per 35 anni pagherà solo il 9% di tasse al riscatto, contro il 23–30% (o più) del TFR aziendale.
Una differenza che può tradursi in decine di migliaia di euro netti in più al momento della pensione.
Contrariamente a quanto molti pensano, il capitale nel fondo pensione non è completamente bloccato.
La legge prevede diversi casi di riscatto, anche prima della pensione:
Fino al 75% per l’acquisto o ristrutturazione della prima casa, dopo 8 anni di iscrizione;
Fino al 30% per qualsiasi esigenza personale, senza necessità di motivazione;
100% in caso di invalidità permanente, disoccupazione oltre 48 mesi o decesso dell’iscritto (in questo caso va agli eredi).
È quindi una forma di risparmio a lungo termine, ma non “congelata”.
In sintesi:
Il TFR aziendale si rivaluta in modo modesto e viene tassato come reddito da lavoro.
Il TFR nel fondo pensione beneficia di rendimenti potenzialmente più elevati e di una tassazione finale agevolata, tra il 15% e il 9%.
Inoltre, offre una flessibilità maggiore nel lungo periodo, con possibilità di riscatto parziale in caso di necessità.
Il risultato è che, a parità di anni di maturazione, il TFR versato in un fondo pensione può valere dal 30% al 40% in più rispetto a quello lasciato in azienda per l’effetto combinato di rendimento e fiscalità.
In breve:
Lasciare il TFR in azienda significa farlo dormire.
Metterlo in un fondo pensione significa farlo lavorare per te.
E nel lungo periodo, la differenza si misura in anni di serenità finanziaria in più.