Investimenti alternativi
22/07/2025
Tempo di lettura 3 min
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Negli ultimi anni l’interesse per gli investimenti alternativi è cresciuto in modo evidente.
Criptovalute, oro, private equity, immobili, arte, vino pregiato: strumenti spesso presentati come opportunità per differenziare il portafoglio, proteggersi dai mercati o ottenere rendimenti più elevati.
Il termine “alternativo”, però, dice poco di per sé. È un’etichetta generica che raggruppa asset molto diversi tra loro, con caratteristiche, rischi e modalità di accesso non sempre confrontabili. Vale quindi la pena fare ordine.
Con “alternativi” si fa riferimento a tutte quelle forme di investimento non riconducibili ai mercati tradizionali (azioni, obbligazioni, ETF, fondi comuni quotati). Alcune delle categorie più frequenti:
Oro e materie prime fisiche
Criptovalute e asset digitali
Private equity e venture capital
Immobili non destinati all’uso personale
Collezionabili: arte, vino, orologi, oggetti rari
In comune, hanno spesso una minore liquidità, una valutazione più complessa e una correlazione ridotta con i mercati tradizionali. Ma le differenze interne sono rilevanti, sia sul piano operativo che strategico.
Ci sono almeno tre motivi principali per cui molti investitori guardano agli alternativi:
Diversificazione: alcuni asset si muovono in modo indipendente rispetto ad azioni e obbligazioni.
Protezione: l’oro o l’immobile possono essere percepiti come beni rifugio.
Rendimento potenziale: l’idea di ottenere extra-rendimento è sempre attraente.
Sono considerazioni rilevanti, ma vanno inserite in un contesto più ampio che tenga conto di obiettivi, orizzonte temporale e tolleranza al rischio.
Quando si parla di alternativi, il punto non è “funzionano o no?”, ma piuttosto: in quale contesto, per quale obiettivo, con quali limiti.
Alcuni strumenti — come gli immobili destinati alla locazione, l’oro o una quota in crypto — possono avere un ruolo, ma solo se inseriti in una strategia coerente. Altri, come il private equity retail o i collezionabili, richiedono un’analisi ancora più attenta: capitale bloccato, rischi asimmetrici, mercati poco trasparenti.
Ciò che accomuna quasi tutti gli alternativi è il fatto che:
sono meno liquidi e meno standardizzabili;
hanno cicli lunghi e spesso incerti;
espongono l’investitore a rischi non sempre evidenti.
Questo non significa che vadano esclusi a priori. Ma nemmeno trattati come scorciatoie per “battere il mercato” o proteggersi da tutto. Vanno inquadrati, selezionati e pesati con attenzione.
In un portafoglio diversificato, una quota limitata di investimenti alternativi può contribuire a migliorare la struttura complessiva, a patto che resti entro margini ragionevoli.
L’approccio dovrebbe essere analogo a quello usato per qualsiasi altro investimento:
valutare rischi e costi,
capire la struttura dell’asset,
inserirlo in una visione complessiva,
e soprattutto non farsi guidare dalla narrazione.
Gli alternativi possono aggiungere valore. Ma non semplificano la pianificazione: la complicano. Se manca una strategia, aggiungere strumenti rende solo il portafoglio più disordinato.